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LUNA

La Luna, l’astro per eccellenza, la cui Bellezza è ispiratrice di immagini e parole cui, da tempi immemori, si cerca di rispecchiarne l’eterna beltà in ogni campo artistico, è stata – e continua ad essere – musa lucente per autori e cantautori che alla Luna hanno rivolto od intitolato canzoni senza tempo, come il singolo italiano più venduto nel 1980: “Luna” di Gianni Togni, un brano kafkiano che riuscì a scalare tutte le classifiche ed a far breccia nel sentire di molti, una canzone che – da allora – in tanti non han mai smesso di canticchiare, mentre altri – di volta in volta – la riscoprono tra gli indimenticabili evergreen degli anni ottanta.

The Moon Goddess by Lorelain Winkler

Il fascino delle canzoni è che possono raccontarci tante cose e – persino – ad ognuno diverse pur con le stesse parole, perché una canzone nasce da un’idea o ispirazione precisa e con un significato specifico, ma il messaggio e l’impatto emotivo che avrà su chi l’ascolterà sarà differente per ciascuno: diverrà ricordo di momenti ed emozioni strettamente private e personali, cambiando nel tempo col mutare dei sentimenti e del vivere di ogni singola persona e – sicuramente – “Luna” di Gianni Togni, è una di quelle canzoni a cui ognuno ha dato un proprio senso e che – in parecchi – han classificato, superficialmente, come una banale e popolare semplice “canzonetta estiva” senza contenuto, eppure l’input al brano lo ha dato una storia reale ed il significato non è per nulla superficiale, così come non è ovvia ed usuale la nascita della partizione musicale.

Gianni Togni, in quel periodo, era un giovane cantautore romano molto promettente che apriva i concerti dei Pooh –  pendolare a Milano – per scrivere attinge dalla gente comune ed alla quotidianità fatta di strade di città e di storie, di fermate di autobus e di metropolitana… ed è proprio in una stazione metropolitana della città meneghina che nasce “Luna”: il brano è l’insieme di frasi e battute ispiratagli da frasi sconnesse che un clochard urlava ai passanti tra le gallerie e le banchine metropolitane che erano, ormai, diventate la sua “casa” e che, Togni, annotava quotidianamente perché fortemente colpito da quell’uomo molto pacifico che chiamava ad alta voce il nome di una donna, Anna – forse il suo amore – e che, inizialmente, avrebbe dovuto anche essere il titolo della canzone.

Il senzatetto, che passava le notti a camminare dentro un metrò, era un signore barbuto, vestito di marrone, che – tra un sorso di vino e uno sguardo sonnacchiosostrillava il suo amore perduto agli ignari passanti, ossessionato da quel suo forte sentimento per una donna che mangiava troppe caramelle e che non doveva fare la scema, un amore che gli aveva detto no per troppe volte, ma lui che – seppur parlava da solo, si confondeva ed aveva fatto a pugni con Dio –  non era ancora diventato matto, perché in fondo stava bene così guardando il mondo dagli oblò della metro: un uomo pieno di contraddizioni che ama le donne ed il buon vino, che sembra uscito da un romanzo giallo, a volte triste, altre solo annoiato con ancora mille sogni e la speranza di restare insieme alla donna che ama ed alla quale può offrire solo un fiore e poi portarla a ballare, ma sa che così – almeno – sarebbero un po’ felici entrambi, perché solo chi ha grandi passioni sa combattere la noia e perché è l’amore che fa credere nelle stelle e fa avere progetti più importanti.

La musica di “Luna”, invece, era stata scritta da Togni quando – ancora studente universitario in lettere – scopre la favola “La volpe e l’uva” e ne scrive due canzoni: una dal ritmo saltellate che potesse rappresentare il modo di andare scattante della volpe, l’altra più lenta e rilassata come s’immaginava fosse l’uva, solo che nell’album che stava incidendo non v’era spazio per entrambe e – non volendone scartarne alcuna – le unì creando la melodia che conosciamo.

“Luna” di Gianni Togni, se quando uscì fu la canzone di tutta un’estate e dei suoi fugaci amori, nel tempo è diventata ed è stata la colonna sonora di tante storie d’amore, ha fatto sognare ed innamorare generazioni e continua ad affascinare tutt’oggi, ma – in realtà – era la canzone di un inimmaginabile amore davvero forte e speciale perché unico ed assoluto, un amore urlato al vento in frasi sconnesse ma dalla Bellezza profonda e quasi surreale che – in pochi giorni – sono diventati una canzone che Togni, abbagliato dalla meraviglia di una notte di Luna piena, ha pensato di dedicare all’astro per eccellenza… in fondo per arrivare alla Luna, è imprescindibile non smettere mai di sognare così da riuscir a ritrovarla dappertutto, anche in fondo al mare o dentro un metrò.

Passo le notti a camminare dentro un metrò, sembro uscito da un romanzo giallo; non sono ancora diventato matto… e credi solo nelle stelle, mangi troppe caramelle, Luna. Luna ti ho vista dappertutto anche in fondo al mare, restiamo insieme questa notte, mi hai detto no per troppe volte, Luna… e guardo il mondo da un oblò mi annoio un po’, se sono triste mi travesto come Pierrot, poi salgo sopra i tetti e grido al vento: “guarda che anch’io ho fatto a pugni con Dio”.

Ho mille sogni in un cassetto non lo apro più, parlo da solo e mi confondo e penso che in fondo sì sto bene così Luna, ma io non sono come gli altri, per te ho progetti più importanti, Luna… Luna non essere arrabbiata dai non fare la scema; evviva le donne, evviva il buon vino, son pieno di contraddizioni, che male c’è… Luna che cosa vuoi che dica non so recitare, ti posso offrire solo un fiore e poi portarti a ballare, vedrai saremo un po’ felici e forse molto più che amici… Luna.” (Luna – Gianni Togni)

SCRIGNO…

Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene.

Painting by Lauri Blank

Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l’eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.

(Kahlil Gibran)

DILLO CON UN FIORE…

La Bellezza dei Fiori – che ha da sempre suscitato l’interesse di artisti d’ogni genere, affascinati dalle loro infinite forme, colori e sfumature – include, anche, il loro linguaggio: un modo di comunicare parecchio in voga nell’Ottocento, un gergo molto sfruttato per esprimere sensazioni impronunciabili ed indescrivibili a parole, ma, sin da tempi remoti, passando dal Medioevo sino al Rinascimento, la florigrafia era molto utilizzata e considerata persino nella religione, allora a piante e fiori era attribuito un significato morale oltre che simbolico.

L’introduzione e la diffusione del linguaggio floreale, si deve alla moglie di un ambasciatore inglese a Costantinopoli: dopo che ebbe soggiornato nella capitale turca tra il 1716 ed il 1718, la Signora – Mary Wortley Montagu – restò affascinata dall’usanza locale d’assegnare significati simbolici a qualunque cosa od oggetto e, soprattutto, a fiori, frutti e piante: era la cultura del selam.

I fiori col loro ciclo vitale, sono in perfetta simmetria con la vita dell’uomo, essi – infatti – si seminano (concepimento), germinano (nascita), sbocciano (crescita) e poi appassiscono (morte), inoltre hanno una valenza comunicativa importantissima tanto da essere considerati metafore dei vizi e delle virtù umane per cui – nella cultura classica – a molti fiori e piante venivano, addirittura, associate delle divinità come nel mito di Narciso.

Il linguaggio proprio dei fiori e delle piante ha visto il suo massimo sviluppo nell’Ottocento, quando le sfumature del gergo bucolico erano molto adoperate per “parlare” dei sentimenti, la bellezza di quest’arte di comunicare attecchì e propagò velocemente, diffusione che diede il via ad un’editoria specializzata nei cosiddetti “flower books”: libri accuratamente illustrati con litografie ed incisioni stilistiche ricercate.

Eppure – nonostante sia diffuso il pensiero di “dire con un fiore” – la florigrafia va quasi scomparendo, per assurdo, nell’era della comunicazione e della spasmodica ricerca di effimeri canoni di bellezza costruiti o presunti, è la vera Bellezza ad essere sempre più dimenticata: il linguaggio dei fiori è un’enorme patrimonio d’armoniosa reale bellezza, perché, con i fiori, è possibile esprimere qualsivoglia emozione e/o sentimento, pure l’indescrivibile ha nella florigrafia il simbolo giusto per far arrivare con dolcezza ed elegantemente, l’esatto messaggio che si vuol inviare.

Donare o ricevere un fiore, significa trasmettere Bellezza, il fiore giusto per ogni occasione è un linguaggio raffinato e ricco di colori, sfumature e profumi, è un risvegliare sensi e sentimenti, è un arricchimento dell’anima, perché il linguaggio floreale è universalmente unico e potentemente bello, ma – anche in questo caso – è necessario allenarsi ad imparare Bellezza, è un principio culturale da non lasciar sfiorire, perciò, diventiamo, creiamo ed elargiamo arte di bellezza sempre e dovunque… anche con un fiore.

“I fiori e la solitudine e la natura
non ci deludono mai;
non chiedono nulla
e ci confortano sempre.”
(Stella Gibbons)

“CI SONO FIORI DAPPERTUTTO… PER CHI È CAPACE DI VEDERLI.” (MATISSE)

La Bellezza dei Fiori è indiscutibile, se poi i loro colori e la loro leggerezza incontrano la tavolozza di un pittore e la creatività di un artista, allora possono nascere capolavori dalle raffinate atmosfere bucoliche e di raffinata Bellezza.

I Fiori hanno da sempre suscitato l’interesse di poeti, fotografi, filosofi ed artisti che non avrebbero mai potuto rimanere indifferenti alle loro infinite forme, colori e sfumature pur interpretandoli ognuno in modo diverso e – così – sin dai tempi antichi e nelle diverse culture, hanno affascinato prepotentemente  e – nonostante la Natura Morta nacque come genere minore rispetto alle correnti consolidate della pittura religiosa o mitologica – nel tempo hanno guadagnato spazio innalzandosi a simboli sacri, elementi essenziali di culto o protagonisti di studi scientifici, sino a divenire soggetti esclusivi di opere d’arte e non solo.

Risale all’antico Egitto la prima raffigurazione di un fiore, il loto blu che – nelle pitture murali delle tombe egizie – rappresentava l’infiorescenza che riemerge e si dischiude ogni mattino, simbolo del Sole e di rinascita e, mentre gli antichi Romani amavano riempire le domus di Piante e Fiori affrescati sulle pareti, nel Medioevo l’arte floreale si tramuta in forme meno naturali, sino ad essere poi associati – nella cultura classica – a divinità od a essere metafore di vizi e virtù umane oltre che citati nei testi religiosi attribuendo a piante e fiori significati simbolici.

“Canestra di Frutta” – Michelangelo Merisi Caravaggio

Il primo a creare una vera e propria opera d’arte con soggetto esclusivamente floreale, fu il fiammingo Hans Memling che nel 1490 dipinge “un vaso di fiori” e, da qui –  passando per “il vaso con gigli” di Ludger Tom Ring – ci sarà un crescente proliferare di nature morte che, la celeberrima “canestra di frutta” del Caravaggio, consacrerà ad elemento essenziale al pari della figura umana.

Puzzle Paintings by Igor Levashov

Dal seicento in poi, la Bellezza dei Fiori non sarà più solo e puramente decoratrice, ma incominceranno ad essere – finalmentesoggetti artistici vivi oltre che veicoli di messaggi e significati, perché anche i Fiori hanno un loro speciale linguaggio di armonia e bellezza che aspetta d’essere colto.